Un saluto a tutte e tutti… Oggi abbiamo lo sfogo di una donna, che chiameremo Ava, che affronta un dolore sicuramente patito da tante di noi, ma non per questo meno difficile da affrontare.
La tematica di partenza è sempre quella, credo che sia alla base di tante nostre sofferenze: il non essere riconosciuti per ciò che si è.
In questo caso si aggiunge, ahimè, un altro peso sulle spalle della nostra amica. Molte persone che ha intorno, uomini e donne, non vedono per intero la sua vita. Lei ha avuto esperienze molto traumatiche, che l’hanno segnata fin da piccola, ha affrontato una malattia che per anni l’ha costretta in casa impedendole di fatto di poter proseguire quella che era una brillante carriera. In quel frangente, ha dovuto lasciare tutto ed è rimasta, come si suol dire, col sedere a terra per parecchio tempo, eppure, sui gomiti, con le unghie e con i denti, si è risollevata.
Questo rialzarsi è stato comunque lungo, pesante e amaro in certi momenti, perché ha dovuto nuovamente contrastare chi nel lavoro non voleva che lei riuscisse. Ce l’ha fatta, ma per suoi meriti e per sua tenacia. Una storia finita bene? Glielo auguriamo di cuore, ma c’è il risvolto della medaglia. La fatica che ha fatto non le viene riconosciuta. I problemi anche fisici che ancora si porta dietro, non vengono visti. I timori che tutto possa sfuggirle di nuovo neanche. Ciò che viene valutato semplicisticamente è che sia riuscita a tornare a lavorare, a riavere un’attività in proprio partendo da zero e quindi sia tout court forte e non bisognosa di nulla. Peggio, che le si possa dire qualunque cosa perché tanto lei non ne soffrirà. Ad Ava viene detto che è forte, quasi come fosse una colpa.
Amica, ho fatto una lunga premessa al tuo sfogo, ora ti lascio la parola perché tu ci possa spiegare come ti senti…
“Ciao, ciò che sento dentro è, come hai detto, un grande dolore. Un dolore che mi opprime l’anima da quanto è forte. Mi trovo costretta a pregare per essere vista così come sono e non come le persone si dipingono nella loro mente che io sia.
Molto spesso mi sento valutata senza che ci si sforzi di conoscermi, senza che si chieda a me come sono. La vita, la mia, loro non la conoscono, ma a volte mi chiedo se serva davvero che io gliela la racconti… Mi trovo a pensare sconfortata che forse non aggiungerebbe nulla: se non vogliono capire, non capirebbero neanche dopo le mie parole. E io, dipinta spesso così inarrestabile, io sono costretta ad aspettare senza far nulla. Ad accettare ciò che gli altri decidono per me per non sembrare prevaricante.
Ma lo sanno quanto dolore mi causano? Lo conoscono il mio animo sanguinante? Mille e mille ferite così, microscopiche per quegli occhi disattenti, veloci, che mi guardano per un secondo, si fanno un’idea e distolgono lo sguardo.
Concepiscono a malapena che io sia in un modo, figuriamoci se riescono a pensare che sia forte e anche trepidante nella stessa giornata, magari persino nel minuto successivo. Sentono, non riesco a spiegarmi perché, di dover tutelare sé stessi e neanche per un attimo pensano di proteggere me… Mi trovo davanti persone che si presentano come insicure, che affermano di essere spaventate da me, scambiando quella forza lavorativa che io ho dovuto ritrovare in me dopo tanto tempo, quell’inflessibilità che mi sono dovuta imporre per mantenermi perché nessuno mi ha aiutato e nessuno poteva farlo per me, per durezza e quei risultati ottenuti sulla mia pelle, per conseguenze senza sforzo di una vita facile”.
Il tuo dolore mi arriva forte, mi sembra di sentirlo come l’hai vissuto. Ti ringrazio perché hai deciso di condividerlo con noi. Se possibile vorrei chiederti di rivolgerti direttamente a queste persone che ti fanno star male. Cosa vorresti dire loro se potessi parlare senza filtri?
“Vorrei dirgli che loro non sanno che il mio cuore si lacera quando vedo la paura di me nei loro occhi… Questo vale soprattutto per chi mi è più vicino, si tratti di uomini o di amiche… In modo diverso forse, ma il loro atteggiamento è simile, perché gli uni mentono od omettono per non vedersi (a sentir loro) sopraffatti e le altre spesso mi considerano indistruttibile e non bisognosa di particolari attenzioni. Peggio…come una che non ha avuto nessun calcio in culo dalla vita, perdonate il francesismo.
Allora…adesso parlo a voi… Perché non capite che sanguino e piango senza lacrime ogni volta che vi allontanate per non farvi…com’è che dite…schiacciare? Da me che non schiaccerei neanche una mosca, da me che tutelo il più indifeso SEMPRE? È di me che avete paura?
E il mio dolore è così forte perché non viene compreso, sento il cuore che mi batte in modo sordo, come se saltasse qualche colpo. Perché date a me la croce che vi affligge? Non vi chiedo di portare la mia, perché, sì, qui lo dico io, non ne sareste capaci, ma almeno non datemi la vostra e soprattutto non siate spaventati da me. Quel passo indietro fatto in quel modo, quelle bugie o omissioni che mi dite per non avere quello che voi pensate sia un giudizio, creano un enorme equivoco e tanto dolore e sconcerto in me.
Il solo fatto che possiate pensare che io voglia schiacciare una persona a cui voglio bene, mi schianta. Ma vi rendete conto di quanto sia offensivo pensare questo di una persona? Di me? Con estrema indifferenza mi attribuite la volontà di farvi del male e poi mi guardate con lo sguardo di chi cerca addirittura rassicurazioni. Considerate bene le vostre parole, considerate che io non sono capace di schiacciare. Che io NON VI VOGLIO schiacciare e riflettete su che torto mi fate pensandolo di me, quanto meschina mi dipingete. E se il problema è di performance, vi prego…. qui non si parla di giudizio, io non giudico, né sono vostra madre, io non vi punirò se non siete all’altezza di qualcosa. Se ritenete che siamo su altezze differenti, questo non dipende da me, non ho fatto nulla per darvi questa idea, non mi sento così in alto, ma se proprio questo vi angoscia, allora non pensate di tagliare le mie gambe per sentirvi alla mia, semmai trovate il vostro modo di salire, trovate un punto dove ci si possa confrontare alla pari, perché io non cerco alture da cui osservare, io cerco solo di stare sullo stesso piano per guardarci negli occhi. E di essere abbracciata magari, se ve la sentite e se mi volete bene”.
Ava…questa vita, come segnalavo come premessa a chi ci legge, non è stata giusta con te. Forse qualcuno aggiungerebbe (e aggiungerà magari) che non lo è stata neanche con lui/lei, ma credo che possiamo tranquillamente accettare che “mal comune, mezzo gaudio” sia un proverbio un po’ limitante, che non dice molto. Tutti noi possiamo soffrire per le stesse cose, ma il nostro modo sarà sempre diverso proprio perché nostro. Ciò che possiamo fare però per noi e per gli altri, è confrontare queste emozioni, è cercare di spiegare il nostro dolore per poter essere visti almeno tra di noi che sappiamo valorizzare le emozioni. Per specchiarci ogni tanto gli uni negli altri, per sapere che non siamo i soli a soffrire, ma anche per accettare quella sofferenza simile ma diversa, per ascoltare quelle parole senza annullarle “perché anche noi…”.
Ava, abbi la certezza che sei una donna bella, con un grande cuore e da amare per come sei, anche per tutta la fatica che hai fatto e quotidianamente fai ancora.
Un abbraccio.